Quali sono i punti di forza e le qualità di una città come Mestre?

Quali sono, a suo parere, i punti di forza e le qualità di una città come Mestre? E i punti deboli?

Paolo Lucchetta (architetto): Mestre contiene nella sua storia originale gran parte delle risposte sul suo futuro, a mio parere, inscindibile da un territorio contraddistinto dalla presenza della città' storica per eccellenza ed di una città dal destino postindustriale tra i più emblematici nel panorama internazionale.

Non necessariamente questa sua localizzazione deve essere percepita come opposizione ad un'identità spesso reclamata e mai raggiunta fino in fondo.
La consapevolezza della qualità del capitale sociale di cui sopra costituisce invece la vera forza originale della città, con il suo articolato repertorio di associazioni ambientali, culturali e sportive.

In questo senso Mestre ha le caratteristiche per poter diventare motore di crescita del Nordest nel mondo post-crisis, centro economico e culturale reinventando se stessa come città vivibile e sostenibile e come direbbe Ricky Burdett, ispirata da un "Light touch" basato su sobrietà', attenzione all'ambiente, pensiero rivolto al futuro.

Valeria Tatano (architetto): Mestre è una città priva di doti naturali, imperfetta, e questo dato di fatto, certo penalizzante, avrebbe potuto e potrebbe ancora essere la sua fortuna perché dovrebbe darle la forza per cercare con caparbietà una propria identità, anche architettonica. Invece a Mestre si costruiscono brutti edifici che non riescono ad attivare quel meccanismo di educazione al gusto che farebbe crescere anche nell’opinione pubblica maggiore consapevolezza inducendola a partecipare a un dibattito più intenso sulle scelte per la città.
Con poche eccezioni (penso ad esempio al progetto di Piazza Ferretto di diversi anni fa e pochissime altre cose) Mestre ha saturato i vuoti a disposizione con architetture misere, senza un progetto urbano preciso, che stenta a dare unitarietà agli episodi di architettura realizzati dai privati. L’amministrazione lavora certo tra mille difficoltà, ma il fallimento del concorso per Piazza Barche, per fare un esempio, è una perdita grave perché allunga terribilmente i tempi di una ripresa virtuosa della riqualificazione complessiva.
Ci vuole più coraggio, anche nel prendere decisioni che possono non trovare l’adesione di tutti se si è convinti che si tratti di scelte operate per il bene collettivo. Ai politici che amministrano le nostre città va chiesto di dimostrare quel coraggio e non solo l’attaccamento a un ruolo.

Pierluigi Aluisio (informatico): Tra i punti di forza di una città come Mestre vedo la sua posizione strategica, il suo essere al centro di tutte le principali arterie di comunicazione e vicina a Venezia, Padova e Treviso, al mondo produttivo, turistico e universitario. Non a caso ho scelto come sede dell’head quarter del nostro gruppo proprio questa città, in particolare a Marghera, in una delle aree ex industriali riqualificate come l’ex Vidal. Mestre è una città moderna e in crescita continua anche dal punto di vista urbanistico, è una città popolata da giovani. Tra i suoi punti deboli metto in evidenza la pessima viabilità del centro, che allontana le attività commerciali e i mestrini dal cuore urbano.

Andrea Stocchetti (economista): La vitalità socio-economica di un tessuto urbano richiede diverse condizioni, tra le quali la capacità di mettersi costantemente in discussione senza pregiudizi, la capacità di evolvere rispettando i principi chiave della sostenibilità e, in sostanza, di essere un ambiente “attrattivo” per le migliori risorse umane. Mestre non ha nulla di tutto ciò e non sembra neanche orientata su questa strada, al contrario delle principali città europee sono da tempo inserite in questa linea di pensiero e la valutazione di progetti e realizzazioni in chiave di sostenibilità socio-ambientale è da tempo considerato un requisito inderogabile di qualunque scelta di pianificazione urbana. A Mestre non mi pare di vedere cambiamenti poco più che marginali e incrementali.

Michele Boldrin (economista): Mestre è ottimamente localizzata per guardare sia ad Est che ad Ovest; meglio che Trieste perché più facilmente raggiungibile anche dal Nord Europa e più integrata nell’economia del Nord Est. L’aeroporto Marco Polo dovrebbe essere il triplo di quanto oggi non sia: quando venne progettato il nuovo le amministrazioni locali non furono capaci di vedere il mondo che già veniva avanti. Non so se esistano le condizioni ambientali per ampliarlo, ma, se vi fossero, l’ampliamento andrebbe progettato da subito. La stazione di Mestre, purtroppo, e’ fisicamente impossibilitata a crescere ma, almeno, le autorità locali dovrebbero agire politicamente perché l’alta velocità (anche se tale ancora non e’) arrivasse a Venezia sia dall’Est che dall’Ovest. Un’amministrazione più ambiziosa e competente, avrebbe progettato vent’anni fa di spostare la stazione ferroviaria di Mestre un chilometro e mezzo più in là, nelle aree dismesse della prima zona industriale, facendone il fulcro d’un sistema integrato di trasporti che la collegasse via acqua e terra al centro storico, via treno metropolitano all’aeroporto e a mezzo di trasporti locali al resto della terraferma. L’università, se localizzata a Mestre, potrebbe crescere ed attrarre nel tempo studenti e risorse che la facciano crescere. Finché rimane nel centro storico sarà impossibilitata a crescere. Infine, il comune di Venezia ha nel centro storico un eccezionale, ed inimitabile per sempre, spazio residenziale. Un centro storico che riscoprisse la sua vera funzione nel mondo contemporaneo, che è quella residenziale, potrebbe giocare un ruolo chiave nello sviluppo di una Mestre produttiva ed innovativa. Cerco di spiegarmi dettagliatamente, perché ritengo questo aspetto assolutamente fondamentale, da un lato, e totalmente incompreso dalle elites locali. Per ragioni a me misteriose, da decenni l’amministrazione comunale opera perché il centro storico diventi sede di attività produttive legate al turismo o altre invece di fare il possibile che sia, puramente e gloriosamente, il più bel centro residenziale del mondo dove, fra le altre cose, vanno anche a passeggio i turisti. Tale scelta m’e’ sempre parsa una follia. Dal 1960 in poi, le uniche attività generatrici di reddito che potessero, profittabilmente, localizzarsi nel centro storico non potevano non essere quelle legate al turismo. Questo e’ un fatto obiettivo, dovuto al processo di cambio tecnologico. Aver pensato altrimenti vuol dire non capire nulla dei sistemi produttivi moderni, i quali hanno esigenze incompatibili con la struttura urbana del centro storico. La prova sta nei fatti: da 50 anni a questa parte continua la fuga dei residenti (la cui presenza il comune non supporta con servizi ed incentivi appropriati) mentre cresce la mono-specializzazione turistica, generando il degrado e l’economia da casbah che oggi caratterizzano il centro storico veneziano. Occorre capire che il turismo è un’attività economica intrinsecamente “povera” e prona alla creazione di monopoli. Il turismo è scarsamente innovativo, la sua crescita è limitata dalla “capienza fisica” del luogo che tende a congestionare, richiede lavori poco qualificati e con scarsa o nulla crescita di produttività, permette l’acquisizione di grandi rendite da parte di chi controlla le risorse scarse (ed irriproducibile) che attraggono i turisti e per questa ragione genera, infine, un rapporto di “capture” con le amministrazioni locali e di concorrenza nulla. Niente concorrenza, niente innovazione e crescita socio-economica: basta guardare Venezia per capire cosa questo significhi nel concreto. In altre parole, l’attività turistica dovrebbe sempre giocare un ruolo “complementare” in una città dove la crescita della ricchezza e della produttività avvenga per altre ragioni. New York City riceve molti più milioni di turisti di Venezia, ma il turismo non e’ certo il focus dell’economia cittadina, ne’ la fonte della sua crescita! Lo stesso vale per Parigi oppure, per andare in luoghi fisicamente più piccoli, in Sevilla o in Siena: il turismo e basta produce e sostiene posti orrendi come Jesolo e mai potrà sostenere una città propriamente detta. Occorre quindi ribaltare completamente la logica sinora adottata. Le amministrazioni locali devono operare per favorire – diciamola tutta: brutalmente incentivare, per recuperare i danni fatti in quarant’anni di errori - la residenzialità nel centro storico, nelle isole ed al Lido, di quelle persone che svolgono attività produttive nell’area metropolitana che gravita attorno al Comune di Venezia. Occorre, letteralmente, spostare in terraferma hotels, pensioni, residence, ristoranti e negozietti per cianfrusaglie turistiche, riconducendo il centro storico alla sua funzione naturale, che e’ residenziale. Le attività economiche di supporto al turismo vanno collocate in terraferma, a Mestre o negli immediati paraggi. Il turista-mass può tranquillamente andare a passeggio nel centro storico partendo dall’albergo o dal residence mestrino. Hotels, ristoranti e negozi di cianfrusaglie localizzati nel centro storico vanno tassati per l’esternalità negativa che generano sul resto della popolazione e sulla città più complessivamente, forzandoli così a localizzarsi nella terraferma. Una tassazione appropriata espellerà dal centro storico le attività turistiche meno redditizie, lasciando solo quelle di “lusso”, come e’ giusto che sia perché lo spazio residenziale del centro storico venga recuperato da chi, nel comune o nell’area ad esso circostante, ci vive e lavora. Gli hotels di downtown Manhattan costano una fortuna anche per questo: il turismo giornaliero arriva in città dal New Jersey o da Brooklin, ossia dall’altro lato delle acque. Tale processo e’ essenziale perché l’area metropolitana di Venezia abbia qualche chances di svilupparsi e fiorire nel XXI secolo. La ragione e’ duplice: da un lato, è impossibile che la crescita economica diffusa venga dal turismo, come già spiegato; dall’altro, il centro storico e’ il miglior asset della terraferma per attirare attività innovative dall’esterno. Le attività innovative, come spiegavo prima, sono oggi il frutto della combinazione fra due tipi di esseri umani: persone di grande talento ed altissimo capitale umano e persone di talento “medio” ma di capitale umano superiore alla media. Queste persone, specialmente le prime, sono altamente mobili, sia sul piano nazionale che internazionale. Queste persone tendono ad essere di reddito medio alto e con una domanda alta di servizi culturali, sportivi e commerciali. Queste persone cercano posti dove si possa vivere bene in forma, se vogliamo, esclusiva, accedendo facilmente, allo stesso tempo, al proprio luogo di lavoro. Vivere nel centro storico e lavorare a Mestre è ciò che un ingegnere o un biologo di successo sceglierebbero di fare, mentre i venditori di grano per colombi e di patacche di vetro fanno, come sappiamo, l’opposto. Occorre anche notare che le persone di talento medio ma di capitale umano superiore alla media vengono “prodotte” dalle (buone) università e tendono a rimanere vicino al luogo dove hanno frequentato l’università se questo offre possibilità attraenti di lavoro e residenza. Per questo e’ necessario spostare l’università in terraferma ed incentivare la residenzialità nel centro storico di chi lavora/studia nell’area metropolitana. Chi fa di downtown Manhattan il centro del mondo vive in parte in Manhattan ma, in gran parte, nel vicino Connecticut, in New Jersey, a Long Island e “pendola” quotidianamente verso downtown. Analogamente, i lavoratori maggiormente qualificati di una Mestre innovativa dovrebbero (e vorranno, se glielo si permette) vivere nel centro storico “pendolando” verso la terraferma per lavorare. Una Mestre che in venti o trent’anni possa assomigliare ad una piccola downtown Manhattan non sarebbe male, no? Perchè succeda occorre togliere dal centro storico le attività turistiche che oggi lo massacrano e spostare in terraferma l’università.

Riccardo Dalla Torre (ricercatore economista): Inutile negarlo: Mestre non viene ricordata come una bella città. Nell'immaginario collettivo è la città della Tangenziale, che per decenni l'ha rinchiusa in una morsa di traffico ed inquinamento. Oggi è la città del Passante, si dirà, intendendo suggerire come l'emergenza sia stata semplicemente spostata più fuori. La stessa presenza di Porto Marghera di certo non giova. In realtà Mestre è anche la città che, più di ogni altra in Veneto, si sta rinnovando: il tram, il parco di San Giuliano, il nuovo Ospedale, Via Torino e la nuova università, il museo M9 e le molte aree di riqualificazione rappresentano progetti in grado di testimoniare come Mestre, in realtà, sia pienamente proiettata nel futuro. Oggi, per i giovani, Mestre è anche la città dell'Heineken Jammin Festival, di Piazza Ferretto e del Centro Culturale Candiani. Non si può non riconoscere come vivibilità e appetibilità di Mestre stiano aumentando di giorno in giorno e come la città stia diventando una sorta di laboratorio dell'innovazione del Nordest.

Massimo Russo (giornalista): Le infrastrutture di base sono un fattore positivo, il punto debole più grave è la mancanza di una regia unica per favorire e incubare le occasioni di sviluppo.

Maurizio Carlotti (direttore televisivo): Mestre è MEtropoli e SeSTieRE. Si può vivere a Mestre con i servizi della grande città, con l’offerta culturale e di svago di una capitale, con la qualità di vita di una località turistica e con l’intimità di un paese. Per raggiungere compiutamente queste aspirazioni è necessario (i) innanzi tutto porsele come obiettivo; (ii) disegnare un progetto per Mestre e per il suo fronte lagunare, Z.I. in primo luogo; (iii) risolvere la relazione territoriale con Venezia e con l’area metropolitana che si estende tra Padova e Treviso; (iv) suturare la ferita ferroviaria che lacera la terraferma, con un passante ferroviario sotterraneo, e integrare alla città le aree periferiche; (v) migliorare il sistema di trasporto pubblico e facilitare la mobilità privata eco-compatibile; (vi) rendere il verde pubblico una risorsa dello sviluppo, con un sistema di grandi parchi urbani incastonati nella città; (vii) limitare l’accesso al ponte della Libertà solamente ai residenti, previa realizzazione di rampe di accesso turistico al Centro Storico in vari punti della gronda di terraferma.

Massimo Donà (musicista): Mestre è una città giovane, ricchissima di talenti e di forze creative, che però agiscono individualmente in modo totalmente anarchico, e spesso fuori della città, con riconoscimenti talvolta anche di grande valore. E’ una città priva di forma propria, che proprio per questo, però, ha lasciato crescere ‘liberamente’ al proprio interno talenti e progettualità di grande spessore; che, poi (prima o dopo), hanno dovuto comunque educarsi da soli. Cercando soprattutto all’esterno, magari all’estero, le condizioni per poter maturare in sintonia con le esigenze del mondo.
Mestre è una città che soffre soprattutto della dipendenza da Venezia, con la quale non ha ancora trovato il giusto rapporto; dovendosi per lo più accontentare di volontariato diffuso e di energie personali mai o pochissimo sostenute dalle istituzioni. Mestre è una città che non saputo creare una propria identità specifica se non continuando a guardare stancamente o nostalgicamente (dove la nostalgia è anche intrisa di rancore per i soprusi tollerati) al suo passato industriale (Marghera). D’altro canto, Mestre ha ormai in quel passato un’origine da cui s’è definitivamente allontanata; anche se non sa ancora bene verso dove le convenga dirigersi. Per cui continua ad agitarsi come un disco che per forza centrifuga lancia verso il mondo esterno le sue intelligenze… e le disperde, senza trarne mai alcun profitto (per la propria crescita). Mestre ha visto fallire per diversi motivi molti progetti che intendevano mutare direzione…. Vedi tante belle idee per il riutilizzo di Marghera e di spazi straordinari che sono rimasti a livello di pura possibilità inespressa. In Germania o in Francia, ma anche in Inghilterra, con tali spazi e tali aree, sarebbero già state create delle grandi strutture di rilancio della creatività e dell’invenzione.

Emanuele Pettener (scrittore): Mestre è una ragazzina complessata che, uscita da un’adolescenza disastrosa ricca solo di brufoli e depressione, si rende conto improvvisamente che non è così malaccio, che i brufoli son spariti e con un po’ di trucco i ragazzi cominciano a guardarla. Sempre considerata (da se stessa e dagli altri) la Cenerentola fra una matrigna, Venezia, e due sorellastre, Padova e Treviso ( tutte e tre effettivamente bellissime al contrario che nella favola) – Mestre ha capito finalmente che le sue arti per sedurre ce le ha tutte. La sua forza sta nella sua giovinezza. Nell’energia, nella freschezza, nell’allegria proprie della giovinezza che saprà trasmettere. Nella possibilità di diventare una grande città moderna, una bellezza moderna. Il suo punto debole, oltre a quello a cui ho accennato sopra, è il suo complesso d’inferiorità, di cui deve liberarsi.Un Mestrino deve sentirsi fiero di dire: sono Mestrino.

Roberto Compagno (imprenditore): La grande fortuna di Mestre è di essere al centro di una più estesa e ricca area che è il Nord Est dell’Italia e godere dei vantaggi della rete di trasporti stradali, ferroviari e aerei non comuni. Il completamente delle reti locali (SMFR, Tram, Sublagunare) integrate con questi nodi regionali e internazionali renderanno la città ancora più facile da vivere.

Marino Pagan (ricercatore): Mestre ha le capacità economiche e culturali per diventare un importante centro per la ricerca e per la formazione di nuove imprese. L'importanza dell'università e dei molti centri culturali e l'influenza di Venezia pongono a disposizione di Mestre un gran patrimonio di talenti e la potenzialità di diventare un polo culturale di importanza internazionale. Affinché ciò si realizzi, tuttavia, e' necessaria la volontà di dare fiducia e valorizzare i giovani talenti. La ricerca, sia all'interno dell'università', sia nelle imprese, ha un ruolo fondamentale per attrarre talenti e sfruttarne al meglio le capacità con ricadute positive su tutti gli ambiti della società.

Valeria Benvenuti (ricercatrice): Il grande punto di forza e il grande punto di debolezza per Mestre è Venezia. Venezia catalizza l’attenzione, l’interesse, le risorse. Mestre sta a guardare. Ma Mestre sa che Venezia è il suo biglietto da visita. Il fermento culturale e sociale che in questi ultimi anni è nato a Mestre è frutto di questo desiderio di provare a identificarsi come comunità autonoma, ma che in realtà continua ancora a guardare oltre al ponte. Gli investimenti fatti per rendere più gradevole Mestre vanno in questa direzione. Significativo per me è stato quando una mia conoscente di Roma che è venuta a trovarmi pensava Mestre fosse solo la Tangenziale, stupendosi invece di come fosse “carina”.

Michele Brunello (architetto): Partendo dalla mia esperienza personale credo che l’indubbio punto di forza di Mestre sia la mixitè, non solo antropologica.
A Mestre il tessuto sociale è formato per lo più da persone che sono “arrivate” a Mestre da non più di 50 anni, provenienti da Venezia, da altre città Italiane o dall’estero.
La città, lo sappiamo, si è evoluta nell’ultimo trentennio da una condizione di città-dormitorio a una realtà urbana dinamica che vuole affermare una propria identità.
A Mestre esiste un ambiente culturale potenzialmente dinamico e frizzante, molto diverso dalle altre città venete dove esiste una borghesia consolidata.
A Mestre la mixitè ha donato apertura mentale, sperimentazione, dibattito aperto e così via. Proprio in questo punto potrebbe risiedere anche la sua debolezza. Esiste il rischio che Mestre si arrocchi su posizioni conservative perdendo molte opportunità.

Stefano Beraldo (dirigente): Forza :
L'essere aperta perché senza radici
L'essere vicina a Venezia, anche se questo è solo potenziale in quanto non sfruttato assolutamente
Di questo le amministrazioni locali sono immensamente e scandalosamente colpevoli.
Debolezza:
lo stesso punto primo.
La mancanza di amministratori locali. È il paradosso di una città senza governo. Tutto proteso al governo di Venezia.

Andrea Jester (consulente finanziario): Il punto di forza principale lo ritengo la sua collocazione geografica.
I punti deboli sono una città disegnata da chi probabilmente non ci vive, un’area industriale lasciata al dibattito politico e sindacale.