Le istituzioni favoriscono la crescita dei talenti?

Il ruolo delle università, delle amministrazioni pubbliche, ma anche degli enti intermedi (camera di commercio o associazioni di categorie e sindacati, ecc.), è adeguato per favorire la crescita dei “talenti”? Cosa si potrebbe fare di più e di diverso?

Paolo Lucchetta (architetto): In generale tutti sembrano condividere la necessità di coltivare talenti, poche però le azioni efficaci, replicabili e sostenibili. Un episodio concreto: la nostra società di progettazione è stata contattata da Unioncamere, per ospitare nei prossimi mesi presso RetailDesign Srl all'interno del Vega, una giovane imprenditrice spagnola in un programma europeo che si intitola Erasmus per imprenditori.
È un programma di scambio che consiglierei a tutti i giovani imprenditori veneziani che oggi hanno a disposizione la possibilità di studiare dall'interno casi di eccellenza internazionali e di accrescere in modo semplice ed economico il proprio bagaglio imprenditoriale.

Valeria Tatano (architetto): Rispondo rispetto al ruolo dell’università, mondo cui appartengo: non facciamo abbastanza per favorire la crescita dei talenti. L’università è in grado di riconoscerli e di farli crescere, ma è costretta ad abbandonarli spesso al loro destino, tradendoli.
Mi spiego meglio, l’università individua le persone dotate di capacità, le sprona, le supporta, magari con i dottorati di ricerca, che formano alla ricerca, ambito che non è di esclusiva pertinenza accademica. Invece noi formiamo dottori che non sono adeguati per il mondo del lavoro, perché strutturati più sulla teoria che sull’applicazione della stessa, sulla sudditanza più che sull’autonomia intellettuale, che non troveranno collocazione dentro l’università (e non ho bisogno di spiegare perché).
Li formiamo per lavorare all’università ma poi non siamo nelle condizioni di dar seguito a quell’impegno, né abbiamo seriamente riflettuto sul fatto che potremmo invece modificare l’approccio della formazione superiore, come già avvenuto con i master, per arrivare ad avere dottori di ricerca da inserire nelle aziende o nelle amministrazioni. Se il mercato del lavoro fosse in buone condizioni queste figure potrebbero e dovrebbero poter avere esperienze diverse, per crescere ulteriormente e tornare magari all’università dopo qualche anno.

Pierluigi Aluisio (informatico): Questi enti, a mio avviso, possono e devono fare di più per favorire la crescita dei talenti. Faccio un esempio: Confindustria dovrebbe essere il luogo principe dove aiutare i talenti ad emergere, invece io l’ho trovato un luogo chiuso ed autoreferenziale dove i giovani neoimprenditori e loro idee di business innovative sono guardati con sufficienza e spesso con sospetto dagli industriali di seconda, terza o quarta generazione (a parte l’eccezione di qualche imprenditore illuminato da cui ho avuto la fortuna di imparare molto dal punto di vista personale e professionale). E invece sono proprio gli imprenditori di prima generazione in ambiti innovativi legati al terziario avanzato e all’economia della conoscenza, quelli su Confindustria dovrebbe puntare, magari con appositi strumenti e servizi per affiancarli e aiutarli a crescere (anche se inizialmente versano all’Associazione pochi contributi associativi).
Da questo punto di vista mi aspetto molto dal nuovo presidente di Confindustria Venezia Brugnaro, lui stesso imprenditore veneziano, coraggioso, innovativo, di prima generazione e del settore terziario.

Andrea Stocchetti (economista): Il miglior modo di far crescere i “talenti” è quello di far crescere l’economia e finanziare la ricerca. Gli enti intermedi e le amministrazioni locali possono avere e spesso hanno un ruolo fondamentale in questo senso, ma credo che in ciò si scontrino con l’inquietante immobilismo del governo (è notizia di oggi il blocco della riforma universitaria per mancata copertura finanziaria) e la scelta, “strategica” e di vecchia data, del nostro Paese di marginalizzare la ricerca sia in termini di risorse che di riconoscimento socio-istituzionale della ricerca in sé. Se adeguate, basterebbero questo due cose: risorse, relativa stabilità e riconoscimento del valore di questo lavoro.

Michele Boldrin (economista): Le amministrazioni pubbliche dovrebbero togliersi di mezzo e pensare solo a fornire servizi decenti, almeno; se fossero ottimi sarebbe meglio. Mi sembra ovvio che un’amministrazione comunale che sventra un’intera città per anni (sei, sette ... ho perso il conto), massacrando il commercio e rendendo un inferno la vita degli abitanti, al fine di costruire un inutile tram, monumento all’ideologia ed allo spreco del denaro pubblico, è meglio non metta mano in alcun processo innovativo. Riuscirebbe solo a far danno. Risparmio gli altri, innumerevoli, esempi d’insipienza amministrativa a cui m’è dato d’assistere ogni qual volta passo per Mestre o Venezia. Ad ogni buon conto, anche sorvolando sulla particolare incompetenza professionale dimostrata dalle recenti amministrazioni veneziane, rimane il fatto che, in nessun luogo nel mondo, le amministrazioni locali hanno giocato ruoli positivi nel processo innovativo altri da quelli che dovrebbero loro essere propri comunque: servizi pubblici efficaci e moderni, competenza e prontezza nella concessione di licenze e permessi, regolamentazione urbanistica che permetta l’arrivo di risorse dall’esterno e non estrometta quelle indigene ma permetta ad esse invece di concentrarsi ed interagire, ligio rispetto ed applicazione di regole e leggi sensate. In poche parole: l’opposto, più o meno, di quanto l’amministrazione comunale di Venezia e’ andata facendo da decenni a questa parte. Sull’università ho già detto: se il Comune di Venezia avesse avuto, o avesse, a cuore lo sviluppo della terraferma come possibile polo d’innovazione, avrebbe operato in questi decenni (ricordo d’averlo proposto nel 1978 ...) perché le facoltà di chimica industriale, prima, di economia commercio ed aziendale, poi e, finalmente, lo IUAV venissero collocati non solo in terraferma ma dentro al sistema urbano che la definisce. In ogni caso, non e’ mai troppo tardi, anche se, effettivamente, è piuttosto tardi e si son persi parecchi treni importanti. Non ripongo particolari speranze, ad ogni buon conto, sul fatto che il mediocre baronato insulare che gestisce l’università di Venezia sia minimamente interessato a fare della medesima un’istituzione utile allo sviluppo economico del territorio che la ospita. Dei sindacati non so che dire. Laddove si fa innovazione, nel mondo, non mi risulta c’entrino i sindacati. L’unico ruolo utile che possono svolgere e’ quello di lasciar innovare chi lo sa fare.

Riccardo Dalla Torre (ricercatore economista): Le università hanno indubbiamente un ruolo fondamentale: è nelle facoltà migliori che i talenti riescono più facilmente a venire allo scoperto ed avere coscienza delle proprie capacità. Credo che invece si possa fare molto di più, poi, per permettere ai talenti di mettere alla prova le loro capacità, di valutare se e quanto valgono e che ruolo professionale possono ricoprire. Per fare ciò, vanno studiati percorsi formativo/professionali condivisi tra più strutture, al fine di permettere ai talenti di confrontarsi con diverse realtà ed affrontare le sfide importanti del nostro territorio. In questa prospettiva un ruolo fondamentale può essere giocato dagli enti intermedi. Questi ultimi dovrebbero credere maggiormente nei talenti, investire nei giovani e dare loro fiducia: in una parola dovrebbero avere il coraggio di rischiare. La rete di relazioni che tali soggetti gestiscono permette loro di avere un’ottima conoscenza di quali sono le risorse, in termini di capitale umano, sulle quali può essere più ragionevole puntare in un orizzonte di medio-lungo termine. Anche su queste persone bisogna investire se si vuole veramente favorire la transizione delle economie avanzate verso nuovi modelli di sviluppo orientati all'innovazione e alla creatività.

Massimo Russo (giornalista): Per raggiungere l’eccellenza è cruciale le programmazione. Decidere quali sono i settori su cui puntare (ad alta intensità di capitale-intelligenza) e poi favorire il gioco di squadra tra istituzioni, università, organismi di rappresentanza di categoria. Un coordinamento che spesso in passato è mancato, anche per l’ostinazione di ognuno nella difesa di interessi corporativi e delle rendite di posizione del passato.

Maurizio Carlotti (direttore televisivo): Distinguerei tra Università e altro. Il talento si può promuovere e, nella sua componente attitudinaria, estendere e propagare. In nessun caso può essere standardizzato e non deve essere burocratizzato. L’università è sede istituzionale della conoscenza, della ricerca e della divulgazione. Venezia e il Veneto dispongono di un ampio sistema universitario, tra i più antichi al mondo. Esistono tradizione, infrastruttura, specializzazione, eccellenza, riconoscimento e prestigio internazionale e un diffuso e potente tessuto imprenditoriale di imprese piccole medie e grandi, in grado di assorbire quadri qualificati preparati. Il sistema universitario imperniato su Venezia non solo è attualmente un alleato naturale di qualsiasi politica di valorizzazione del talento, ma deve essere sviluppato ulteriormente in direzione delle TIC (Tecnologie della Informazione e Comunicazione) e della Convergenza Digitale, che stanno marcando un cambiamento d’epoca. E` questa la direzione in cui va orientato lo sforzo di riconversione della Z.I. di Porto Marghera, approfittando del costo di istallazione, a Venezia relativamente minore, di reti ad alta e altissima velocità.

Massimo Donà (musicista): A questo proposito si potrebbe fare molto molto di più. Allo stato attuale, infatti, almeno per quel che ne so, si fa davvero pochissimo. Penso soprattutto all’Università, - la cui struttura conosco meglio di quella di altre realtà -, e al fatto che in genere questa Istituzione non aiuta certo coloro i quali si attivano in forma creativa e personale, ma preferiscono il fedele adempimento di compiti e ruoli corrispondenti ad un immodificabile status quo. D’altro canto esse hanno anche perso da tempo qualsiasi contatto con la realtà produttiva e creativa che si disegna in forme sempre diverse fuori dalle loro mura. Le Università, dunque, sono sempre più evidentemente mondi chiusi che tendono a perpetuarsi stancamente…
ma lo stesso credo si possa dire anche dei sindacati, strutture che ormai tendono a creare solo sacche di privilegi corporativistici del tutto scollegati dal crescente dinamismo sociale e reale.

Emanuele Pettener (scrittore): Il ruolo degli enti pubblici, delle Università (ma anche dei Musei) e degli altri soggetti attivi è fondamentale.
Coordinamento tra enti, creazione di "standard" di qualità e valutazione comuni.
"Identificazione" del talento con criteri nuovi, liberi dagli orpelli di vecchie classificazioni. Ora uno studente modello ha solo come riferimento l' ISEE (o la dichiarazione dei redditi) del padre. Un talento o presunto tale dovrebbe avere accesso poi a tutte le strutture e laboratori sul territorio comprese le aziende private - come una sorta di "Pass". Bisogna abbattere gli spazi di ricerca chiusi.

Roberto Compagno (imprenditore): La mia esperienza professionale mi porta a dire che né i vari enti in prima linea in questa responsabilità (Università, Amministrazioni pubbliche) né tantomeno enti intermedi come le Camere di Commercio o le Associazioni di categoria e i Sindacati, siano efficaci e complementari in un disegno che abbia l’obiettivo di far crescere talenti.
Ritengo potrebbe essere utile delegare a un unico soggetto (penso a un’autorità pubblica) la responsabilità di mettere in pratica un progetto con questa finalità in modo tale da sollecitare azioni nelle Università, dialogando con Associazioni e Sindacati; lavorando per dirigere risorse e investimenti dei vari enti come la Camera di Commercio o delle stesse aziende.
Un terreno favorevole alla crescita dei talenti è anche un luogo attraente.

Marino Pagan (ricercatore): Le università hanno naturalmente un ruolo fondamentale nella formazione dei talenti e nel loro indirizzamento verso il mondo del lavoro. A mio parere, l'università italiana ha il merito, condiviso con le scuole medie e superiori, di impartire un'educazione solida e un livello di preparazione tra i migliori al mondo. Sfortunatamente tale eccellenza in fase di formazione è talvolta tradita nella fase di passaggio verso il mondo della ricerca o del lavoro, causando paradossalmente la fuga di molti talenti all'estero. Le università e le imprese hanno il compito (e l'interesse) di coltivare i giovani talenti, proponendo soluzioni che li valorizzino e ne sfruttino tutte le potenzialità.

Valeria Benvenuti (ricercatrice): Le istituzioni in questo senso possono fare molto: la sensibilizzazione, l’aiuto, il supporto potrebbe venire anche da quei soggetti che, direttamente o indirettamente, gestiscono la cosa pubblica, la amministrano, ne decidono le regole. Si sta scontando però un periodo non proprio facile: la crisi ha reso la coperta molto corta, ci saranno pezzi del letto che rimarranno scoperti, altri che continueranno ad essere protetti. Ma perché sono proprio i giovani a dover rimanere senza coperta? Perché tante risorse continuano ad essere indirizzate a soggetti che già sono abbondantemente tutelati? Si pensi al sistema previdenziale che ormai per i giovani rappresenta un’utopia, si pensi al fatto che la precarietà del lavoro non permette ai giovani di ottenere dalle banche il prestito per comprare casa, si pensi alle donne che sono incerte sul fatto di mettere su famiglia per paura di perdere il lavoro… Per fortuna che, paradossalmente, esiste la pensione del nonno o del babbo che permette di mantenere i giovani obbligati in questa condizione di precarietà. E tale precarietà non è solo una condizione lavorativa, ma è una precarietà che attiene ad una visione molto incerta del futuro.

Michele Brunello (architetto): Stiamo parlando d’istituzioni che, per quanto preziose e necessarie al funzionamento dello Stato, spesso appartengono a un modello e a un’ economia che si tramanda dal secolo scorso.
La sfida per l’innovazione passa attraverso l’appoggio e l’investimento sui nuovi imprenditori e innovatori sociali. Bisogna intercettare le nuove domande del territorio e dell’economia perché il mercato tradizionale è oramai saturo e bisogna investire sulle nuove idee. Esistono delle reti internazionali di imprenditori dediti alla sostenibilità, come THE HUB, da attrarre in territorio veneziano; esistono le nuove imprese sociali che offrono servizi ambientali innovativi; esistono realtà di produzioni culturali indipendenti che sfruttano la rete come mercato “immateriale” e diffuso su tutto il globo e hanno successi enormi.
Proprio su quest’ultimo punto faccio un esempio. Se l’amministrazione pubblica o la camera di commercio, invece che promuovere l’ennesimo convegno sulla creatività giovanile con annessa pubblicazione, affidasse a un gruppo di ventenni la possibilità di realizzare un sito che offra la possibilità di pubblicare e comprare i materiali musicali, letterari e grafici che auto-producono, sarebbe molto più utile e interessante ricevere il link di questo progetto piuttosto che il “pacco regalo” celebrativo con il libretto dell’ennesimo convegno sulla creatività giovanile.

Stefano Beraldo (dirigente): Assolutamente no. Solo l'università tra questi enti in qualche caso è adeguata. Si dovrebbero avviare istituzioni di collegamento tra scuola e azienda, o scuola e luogo o istituzione deputata all' arte, musica, istituzione di ricerca etc per favorire telenti nelle rispettive aree e discipline. Incubatori di talenti, a cui possono accedere solo i migliori e quelli che desiderano impegnarsi più a fondo. Sindacati, camere di commercio lasciamoli stare.

Andrea Jester (consulente finanziario): Rispondo no, purtroppo, sempre per esperienza diretta. Non mi soffermo perché ritengo che questa ricerca punti ad evidenziare soprattutto ciò che può dare forza e vigore al nostro territorio e non essere un raccoglitore di polemiche e critiche. Posso solo dire che nella mia esperienza lavorativa ho avuto modo di lavorare con aziende, enti pubblici, settore profit e no profit e raramente ho incontrato soggetti che avessero uno sguardo di insieme e una progettualità che andasse oltre il particolare o – peggio ancora – oltre il proprio interesse.