M9: Il progetto vincitore - PRESENTAZIONE

Il progetto vincitore del Concorso Internazionale per M9, il Museo del Novecento che sorgerà a Mestre, è dello studio tedesco Sauerbruch Hutton. 
 
Matthias Sauerbruch (Costanza, 1955) e Louisa Hutton (Norwich, 1957) fondano il proprio studio a Berlino, nel 1989. Caratteristica dello studio è l'integrazione delle componenti che determinano il comfort, sia in termini di percezione sensoriale degli utenti sia di prestazioni dei sistemi tecnologici. Di qui l'attenzione alla realizzazione dell'involucro degli edifici quale sistema di controllo ambientale ai fini del risparmio energetico, declinato attraverso un originale ricorso alla policromia degli elementi e all'andamento curvilineo dei fronti.
 
Portano la loro firma alcuni importanti edifici tedeschi: la sede della GSW (Berlino, 1992-1999), che ha procurato ai progettisti notorietà internazionale, l'Istituto per la Ricerca Farmacologica di Biberach (2001-2002), la stazione di polizia e dei vigili del fuoco per il quartiere governativo a Berlino (2002-2004), la sede dell'Agenzia federale per l'ambiente (Dessau, 2001-2005). A Monaco di Baviera, nel 2008, è stato inaugurato il Museo Brandhorst, la loro opera probabilmente più rappresentativa.
In Italia, hanno completato MAC 567, un complesso ad uso misto negli spazi dell'ex Fabbrica Carlo Erba a Milano.
 
Il progetto propone un edificio dall volumetria integrata con l’impianto urbano di Mestre. La sua collocazione migliora la rete pedonale della città, crea e collega nuovi spazi che si inseriscono in maniera attenta nel contesto. Da un lato il museo costituisce un catalizzatore per rivitalizzare il centro storico, dall’altro funziona come una cornice mirante a valorizzare le preesistenze.
 
Al fine di creare una connessione pedonale tra piazza Ferretto e via Cappuccina attraverso l’ex caserma, il progetto prefigura un passaggio diagonale e una “piazzetta del museo” per attirare i visitatori e invitarli ad attraversare l’intero complesso.
Da questa prima “decisione urbanistica” dipendono le scelte progettuali successive e in particolare quella di introdurre una diagonale che suddivide il lotto in due parti di forma triangolare. Il triangolo maggiore su via Brenta Vecchia accoglie l’edificio del museo, mentre un corpo di fabbrica di servizio più piccolo occupa la porzione dell’area su via Pascoli.
 
Il progetto configura la ristrutturazione e il riuso dell’ex caserma, dove, per creare spazi esclusivamente dedicati al commercio, si prevede di dotare di vetrine sia la facciata al piano terra su via Poerio sia quelle nel portico del chiostro, che risulterà così vivacizzato dalle attività commerciali che lo incorniceranno. Insieme alle ex scuderie, sul lato ovest del lotto, di cui si prevede la ristrutturazione a fini commerciali, il complesso rivitalizzerà anche l’area attraversata da calle Legrenzi. Il passaggio esistente al piano terra sarà allargato secondo un angolo aperto verso la “piazzetta del museo” al fine di segnalarne anche da lontano l’ingresso.
 
L’attenzione dei visitatori che si avvicinano a piedi al museo è catturata dai volumi diagonali dei due nuovi corpi di fabbrica, i cui ingressi e la cui organizzazione interna risultano ben percepibili.
Dal piano terra si raggiunge quello superiore attraverso un’ampia scala che mira ad attirare l’attenzione dei visitatori sulla piazzetta e sull’ex caserma. Dopo una svolta, una scala a quattro rampe, lunga circa 50 metri e illuminata dal pavimento, sale dolcemente ai piani espositivi, dividendosi per consentire l’accesso al primo livello dell’esposizione permanente. Le aree espositive al primo e secondo piano sono concepite come flessibili “scatole nere” di circa 1.150 mq per piano.
 
Tutti i livelli espositivi sono progettati a partire da una griglia di 9x12 m. Qualora si optasse per una configurazione “classica” la galleria sarebbe formata da ambienti di 6x9 m con una superficie di 54 mq, nel caso dei più piccoli. Grazie a questo modulo tutti i piani del museo possono essere configurati come un’infilata di “gabinetti”, oppure come uno spazio continuo ripartito, ovvero come un grande spazio unico. Al secondo piano, alla fine della scala principale si attraversa un lungo ambiente che contiene le informazioni relative alle mostre temporanee allestite al terzo piano. Chi non intende visitare l’esposizione permanente, si muove in questo spazio come in una zona di transito che porta alla scala per il terzo piano, illuminata dall’alto attraverso lucernari. Questa illuminazione preannuncia la luce naturale che caratterizza gli spazi espositivi di 1.050 mq ricavati al terzo piano, dotati di sheds orientati a nord.
Questi spazi, a differenza di quanto avviene nei piani destinati all’esposizione permanente, formano una “scatola bianca” oscurabile, dalla quale è possibile accedere a un balcone o di godere la vista della città vecchia attraverso ampie aperture vetrate.
 
L’edificio è riconoscibile nel suo rivestimento esterno in ceramica policroma. L’accordo cromatico che recepisce e interpreta le modulazioni di colore dell’ambiente circostante è il segno di riconoscimento del museo. Gli ingressi e le rientranze sono eseguiti in cemento a vista, materiale che compare anche nella parte superiore dell’edificio.
La volumetria dell’edificio deriva da valutazioni di carattere urbanistico e funzionale.
L’attraversamento del lotto, l’integrazione tridimensionale della costruzione nel contesto, l’accessibilità di tutte le componenti del programma e la disposizione delle superfici al piano terreno hanno giocato un ruolo importante.
 
L’aspetto del museo mira a interpretare l’eredità artistica del XX secolo. Condivide con il Futurismo italiano la fascinazione per il movimento e la velocità come componenti fondamentali dell’orizzonte percettivo contemporaneo. Con l’arte (e l’architettura) moderna condivide l’uso mirato del colore come mezzo di percezione spaziale. Appartiene invece al XXI secolo la consapevolezza del valore della “continuità sostenibile” che il progetto interpreta, in particolare con la sua concezione urbanistica.