Anna Palma Gasparrini - Abstract dell'Intervista

Anna Palma Gasparrini proviene da una famiglia di origine marchigiana legata alla Resistenza, il padre è stato partigiano azionista poi socialista, la madre di formazione cattolica è stata staffetta partigiana. Il suo interesse per il partito comunista maturò negli anni in cui frequentava l’università di Padova, l’ambiente della facoltà di Matematica era fortemente orientato a sinistra.

Insieme ai compagni del PCI si impegnò nell’organizzazione del festival dell’Unità per la campagna di stampa comunista che si tenne nel 1973 a Venezia. Fu un lavoro organizzativo enorme che aveva coinvolto tutto il centro storico, con spettacoli e manifestazioni culturali di alto livello, che avevano portato la città all’attenzione nazionale.

Aderì attivamente alle campagna a favore del mantenimento della legge sul divorzio sostenuta dai partiti della sinistra e da molta parte del mondo cattolico.

Negli anni settanta Mestre era una città giovane in piena espansione, a ridosso di una delle più grandi zone industriali del nord d’Italia, attirava manodopera da altri paesi e regioni e mancava totalmente di servizi e di aree verdi. Partecipò alla prima grande manifestazione per vincolare l’area pubblica su cui sorse in seguito il parco del Piraghetto e per chiedere asili e scuole.

Fu designata responsabile comunale femminile per il PCI, che aveva la sua scuola di formazione e una importante rivista di elaborazione culturale dal nome “Donne e politica”.

Nelle elezioni amministrative del 1975 fu nella lista dei candidati consiglieri e venne eletta. Il partito comunista ebbe un grande successo elettorale e Gianni Pellicani, leader del partito e della nuova maggioranza socialcomunista, le propose il ruolo di assessora ai problemi della condizione femminile, un assessorato del tutto nuovo, era il primo in Italia, in sintonia con il radicamento sul territorio del movimento delle donne.

Convocata immediatamente a Roma dalla direzione nazionale incontrò Adriana Seroni, responsabile femminile del PCI, che voleva capire cosa stesse succedendo a Venezia.

Il suo era un assessorato senza capitolo di spesa, aveva un ruolo prevalentemente politico e il percorso era tutto da costruire.

Era molto giovane e non aveva nessuna esperienza amministrativa, il primo periodo non fu facile: l’assessorato copriva un ambito di cui il comune tradizionalmente non si occupava e non c’erano esperienze simili in altre città d’Italia, come invece si verificarono in seguito.

Fu affiancata all’assessora alla Sicurezza Sociale Lia Finzi con cui condivideva parte delle competenze. I consultori erano materia della sicurezza, Gasparrini li seguiva occupandosi dei comitati di gestione che incontrava, da sola o con l’assessora Finzi, nelle assemblee dove si discuteva quale tipologia di servizio volevano le donne e quali tematiche privilegiare.

Gli asili nido mancavano completamente sia in centro storico che in terraferma, il bilancio del Comune era gravato da moltissimi debiti e il decreto Stammati impediva le assunzioni di nuovo personale.

I primi quattro nidi furono creati utilizzando sedi e personale dell’ex ONMI, una IPAB sciolta in quegli anni che si occupava delle madri in situazioni di povertà.

La mobilia ereditata era antiquata e inadatta al nuovo servizio. Dopo aver visitato gli asili nido dell’Emilia Romagna si progettarono le nuove disposizioni e gli arredi utilizzando gli uffici tecnici, la falegnameria del Comune e la creatività delle maestre. Fu stabilito il nuovo regolamento e si decisero le modalità di selezione del personale che doveva avere almeno un diploma quadriennale ad indirizzo pedagogico.

L’asilo del Lido fu finanziato con l’1 per mille dei contratti dei lavoratori, con l'istituto della Pietà si giunse all’accordo di aprire l’asilo a un certo numero di esterni, con la dirigenza del carcere femminile si diede vita a un progetto che consentiva ai figli delle carcerate di poter uscire e frequentare il nido alla Giudecca.

Con il movimento femminista ebbe un rapporto proficuo, dialettico quanto conflittuale. Era accettata con riserva la sua militanza all’interno del partito comunista e il suo essere parte dell’istituzione, nonostante la testimonianza del suo impegno con e per le donne sui temi e sulle battaglie più importanti.

Nel novembre del 1977 il movimento femminista occupò villa Franchin a Carpenedo, Mestre, da poco acquistata dal Comune di Venezia. Da tempo le donne chiedevano uno spazio pubblico dove potersi ritrovare e discutere di sessualità, violenza, diritto a una maternità libera e responsabile, creatività e cultura di genere. L’assessora Gasparrini, mediando tra le esigenze della giunta e del movimento, con l’appoggio del vicesindaco Pellicani si impegnò a cercare uno spazio adeguato che fu trovato nel mezzanino del centro civico di piazza Ferretto.

Nel 1980 fu istituito il Centro donna che, per sua esplicita volontà, non aveva un comitato di gestione, perché c’era il timore che questo avrebbe potuto ostacolare o limitare la libertà dei gruppi, tra cui i “comitati donna” che erano sorti in ogni quartiere, e delle associazioni che con le loro proposte e iniziative contribuivano a costruire anno per anno l’attività del centro.

Con i primi soldi a disposizione si creò una biblioteca specializzata e DonnaTeca, che raccoglieva la documentazione prodotta dalle donne per le donne. Furono organizzate presentazioni di libri a livello nazionale e internazionale, memorabile fu la partecipazione di Marguerite Duras e di Lucy Irigaray, per la prima volta in Italia e di cui Luisa Muraro aveva tradotto i testi.

Cominciò a prendere forma il progetto Tribunale 8 marzo, dove un gruppo di giovani avvocatesse prestavano consulenza gratuita alle donne in difficoltà economica sui temi del divorzio, della violenza e sul diritto del lavoro. Da questo crebbe, nella seconda metà degli anni ottanta, l’idea di creare un centro antiviolenza e una casa protetta per donne maltrattate. Venezia è uno dei pochissimi comuni del Veneto che ha questa struttura.

Con l’Assessorato alla Cultura ebbe una collaborazione molto proficua, tra le molte iniziative si ricordano le grandi mostre sui cento anni di storia delle donne attraverso i manifesti, sul merletto, sulle cortigiane veneziane.

Eletta nuovamente nel 1980 venne riconfermata nella delega, non nell’assessorato, ai problemi della condizione femminile. Questa decisione era del vicesindaco Gianni Pellicani che preferì fare due deleghe esterne, condizione femminile e decentramento, che avevano minimi finanziamenti di spesa.

La nuova disposizione significò una diversa copertura politica del settore all’interno dell’azione amministrativa della maggioranza. La seconda giunta era più legata all’anima riformista del partito, inoltre il quadro politico nazionale era molto cambiato rispetto al 1975. Questo non limitò né le impedì di continuare il lavoro impostato nel quinquennio precedente.