A VENEZIA GLI STESSI POTERI DI ROMA CAPITALE

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Quale "specialità" per Venezia nel XXI secolo? È una domanda alla quale non possiamo sfuggire se vogliamo pensare concretamente al futuro della città.
Mezzo secolo fa il Parlamento dichiarava "la salvaguardia di Venezia e della sua laguna un problema di preminente interesse nazionale". E aggiungeva che "la Repubblica ne assicura la vitalità socio-economica". Era nata la Prima Legge Speciale per Venezia, la 171 del 16 aprile 1973.
Ancora oggi quelle due frasette restano i pilastri su cui poggia la specialità veneziana. Ma 50 anni dopo gli obiettivi, così bene sintetizzati dai legislatori dell’epoca sono stati raggiunti? Questa è la domanda alla quale abbiamo cercato di rispondere anche nel corso della giornata di studio promossa lo scorso 25 marzo dalla Fondazione Pellicani, attraverso un’analisi che, senza avere la presunzione, di essere esaustiva ha messo a fuoco alcuni temi strategici per la città (legislazione, governance, risorse finanziarie, effetti dei cambiamenti climatici; l’economia della città, la residenza link). In 50 anni sono stati fatti molti interventi per la salvaguardia fisica e ambientale per risanare una città in ginocchio dopo l'alluvione del 1966, spendendo una miriade di miliardi circa 12, molti dei quali spesi male e oggetto di scandali che hanno tanto umiliato la città.
Ma oggi è sotto gli occhi di tutti l’urgenza di Ri-Pensare la specialità di Venezia per renderla più aderente alle esigenze della città contemporanea e uscire da quell’impasse che sta diventando la condanna di Venezia.
Negli ultimi anni tutti i tentativi di riformare la legislazione speciale si sono persi per strada. Per cercare di rispondere alle emergenze si è perciò proceduto a strappi, attraverso decreti ed emendamenti per consentire alla città di sopravvivere. Provvedimenti che spesso poi non vengono applicati e si perdono anch’essi nelle nebbie. Basti pensare quanto avvenuto nella scorsa legislatura, in cui sono stati adottati: la tassa di sbarco, il Centro Internazionale per i cambiamenti climatici, la Zls, l'Autorità per la Laguna, il Concorso idee per il porto off-shore, la regolamentazione delle locazioni turistiche e lo stop alle Grandi Navi in Bacino. Dei sette provvedimenti principali approvati solo quest’ultimo è stato finora adottato. In compenso sono stati nominati ben 6 commissari straordinari nella vana speranza di aggirare così la paralisi dovuta al fallimento dei meccanismi di governance.
Del resto, l’anno scorso, la stessa commissione d’indagine parlamentare sui problemi di Venezia, prima dello scioglimento anticipato delle Camere, era giunta al medesimo risultato, parlando di “città bloccata”, “fallimento della governance". Ma quel che è peggio è che alle stesse conclusioni era giunta l'indagine parlamentare condotta trent'anni prima, nel '91-'92, in cui si parlava di “fallimento degli obiettivi della legislazione speciale”, in particolare del “Comitatone”, allora istituito da soli 8 anni.
Un organismo decisionale che avrebbe dovuto redimere ogni controversia, in realtà non ha mai raggiunto lo scopo, rivelandosi un organo pletorico di ratifica di decisioni già prese, quasi sempre a Roma, e di ripartizione dei fondi della Legge Speciale. Fondi che, come noto, da tempo non vengono stanziati, tant’è che il “Comitatone” non si riunisce da tre anni.
È evidente che i meccanismi della Legge Speciale non sono in grado di rispondere alla complessità dei problemi che abbiamo di fronte. Che fare? 
È auspicabile che l’Autorità per la Laguna venga istituita al più presto e semplifichi un po’ il labirinto della governance. Ma sarà in grado di risolvere il nodo di fondo, vale a dire la frammentazione e i conflitti di competenze tra i vari enti? Ovvero quale specialità è necessaria per il futuro di Venezia?
Uno spunto di riflessione arriva dalla legge per Roma Capitale, approdata alla Camera la settimana precedente alle dimissioni del governo nel luglio scorso e il cui iter, ormai tracciato, dovrà essere ripreso dal nuovo Parlamento. La proposta di riforma, mediante la modifica il Titolo V della Costituzione, assegna una inedita autonomia alla capitale del Paese, attribuendo al Comune di Roma potestà legislativa e risorse adeguate sulle medesime materie che la Costituzione assegna alle Regioni, fatta eccezione per la Salute.
È una strada perseguibile anche per Venezia?
La proposta per Roma Capitale ha avuto il merito di riportare al centro del dibattito politico-
istituzionale il tema delle grandi città italiane a vocazione internazionale. 
Penso ovviamente a Venezia per la sua unicità, ma anche a Milano e Napoli per il ruolo che svolgono. Una riforma seria sull'autonomia non può dimenticare la funzione strategica delle grandi città, soprattutto alla luce del fallimento della legge sulle Città Metropolitane.
Oggi nel mondo le sfide sono tra grandi piattaforme urbane. Negli ultimi decenni la globalizzazione ha mutato gli scenari, ha rafforzato i poteri economici e finanziari e perfino potenziato le reti criminali. Tutto ha cambiato scala, meno il potere democratico che esprime l’interesse pubblico. Per questo è dovere del Parlamento dotare i grandi Comuni di prerogative amministrative, finanziarie e legislative adeguate per tutelare le comunità e per cogliere le sfide internazionali. Ecco perché Ri-Pensare Venezia vuol dire anzitutto Ri-Pensare alla sua specialità. 
Ma è possibile nell’attuale ordinamento avviare una riforma che garantisca gli obiettivi non ancora conseguiti in 50 anni? Finora ogni tentativo è fallito. Si è rivelato impossibile riformare la Legge Speciale, ovvero affrontare in modo unitario il "Dossier Venezia", per rispondere pienamente ai problemi della città. Che significa garantire continuità di finanziamenti e strumenti adeguati per la salvaguardia fisica e ambientale, il porto, il turismo, la residenza e il rilancio dell’economia cittadina e di Porto Marghera.
Il rischio concreto è che Venezia perda definitivamente la sua dimensione urbana, com’è emerso con chiarezza nella giornata di studio della Fondazione. È necessario aprire una nuova stagione, nell’esclusivo interesse di Venezia, in cui parlare di autonomia o di federalismo fiscale, non sia più solamente una provocazione. 
Per questo è il momento di inaugurare un cantiere per le riforme, per Venezia e le altre grandi città italiane a vocazione internazionale, che affronti l’ipotesi di agire, non solo per Roma, sul titolo V della Costituzione. Venezia non può più attendere.