Lia Finzi - Abstract delle Interviste

Lia Finzi proviene da una famiglia di piccola borghesia veneziana. Il padre, di religione ebraica, è ragioniere e non essendo iscritto al partito nazionale fascista non può accedere ai concorsi pubblici, per cui lavora in proprio: si occupa di amministrazione e fornisce consulenza in campo fiscale e finanziario a privati. La madre è casalinga.

Lia ha due sorelle, una che muore bambina e una sorella di cinque anni più grande che sposerà il dirigente e senatore comunista veneziano Gianmario Vianello.

Il nonno materno, uomo di fiducia di una famiglia facoltosa di ebrei ferraresi, è socialista. Una zia paterna sposa un anarchico di Ferrara, amico del nonno, e questa amicizia favorisce l’incontro dei suoi genitori.

La famiglia Finzi è molto laica e riservata, le figlie non praticavano né la religione ebraica né la cattolica. Dopo la promulgazione delle leggi razziali Lia viene allontanata dalla scuola pubblica e frequenta la scuola elementare e media organizzata dalla comunità ebraica di Venezia, il cui corpo insegnante è formato dai professori espulsi dall’insegnamento perché israeliti.

Con la razzia nel ghetto e la deportazione degli ebrei romani cominciano a circolare voci a Venezia che mettono in allarme il padre che cerca un rifugio sicuro per sé e la famiglia e dopo aver scartato alcune soluzione, decide per la Svizzera.

Partono in tre, il signor Finzi con le due ragazze. La madre, battezzata cattolica, a causa di una grave forma d’asma di cui soffre non è in grado di sopportare il viaggio e rimane in città. A Milano arrivano accompagnati da un amico che viene fermato e controllato dalla polizia, li perde di vista e al rientro a Venezia non può portare notizie rassicuranti alla madre che muore di crepacuore cinque giorni dopo.

Il padre non trova il contatto per passare il confine, vagano per alcuni giorni a Milano dormendo nei rifugi antiaerei. Decide di rivolgersi all’ingegner Franceschini di Brunate, Como, conosciuto per lavoro e che si era precedentemente offerto di aiutarli a espatriare. L’ingegnere li affidata a dei contrabbandieri e dopo un viaggio molto pericoloso passano il confine con un gruppo di ebrei italiani. Le autorità svizzere non li vogliono e cercano di rimandarli in Italia, per una circostanza fortuita tutto il gruppo resta e vengono smistati, Lia finisce in un collegio a Lugano dove riesce anche a studiare e a conseguire un diploma linguistico, la sorella a Basilea, il padre in un campo di lavoro nel cantone italiano.

Il rientro a Venezia nell’agosto del 1945 è triste e il reinserimento per Lia è difficile. Consegue la maturità come privatista, si specializza in ortofrenia a Firenze e si iscrive alla facoltà di Lingue a Ca’ Foscari. Frequenta la cellula comunista universitaria dove conosce e si lega sentimentalmente a Girolamo Momi Federici che diventerà suo marito. Dopo una parentesi sionista decide di iscriversi al PCI, perché tra i partiti è quello che più la garantisce sull’idea di giustizia sociale e sull’antifascismo.

Nei primi anni Cinquanta divide il suo tempo tra la scuola ebraica e il convitto “Francesco Biancotto” per orfani di partigiani e di lavoratori, che diventa in seguito il suo impegno prevalente. Nel 1954 si sposa e vive dentro al convitto insieme al marito che è il direttore didattico.

Nel 1956 si trasferisce a Milano per un anno con la famiglia nel Convitto della “Rinascita”, che accoglieva giovani partigiani che, a causa della guerra, non erano riusciti a concludere gli studi o desideravano raggiungere una preparazione professionale.

Alla chiusura del “Biancotto” nel 1957 Lia vince il concorso magistrale e insegna nelle scuole speciali dove, dall’interno, porta avanti la sua battaglia contro ogni forma di emarginazione e discriminazione.

Nel 1960 è eletta Consigliera Provinciale per il PCI per tre mandati consecutivi e tra il 1970 e il 1975 è capogruppo per il partito in Consiglio.

Il PCI veneziano ha all’interno due anime, una corrente di sinistra, gli “ingraiani”, nella quale si riconosce Lia, e una corrente detta di “destra”, gli “amendoliani”. I movimenti del Sessantotto e del Sessantanove portano molto dibattito politico all’interno e nei primi anni Settanta, sulla spinta della corrente di sinistra, il partito decide per un’apertura ai giovani che hanno attraversato queste esperienze (entrismo) e dopo il congresso diventano dirigenti nelle diverse sezioni cittadine.

Nelle elezioni amministrative del 1975 le viene proposto di scegliere se candidarsi alla Presidenza della Provincia o in Consiglio Comunale con la possibilità di fare l’Assessora, lei sceglie quest’ultima ipotesi, perché sente di poter più essere vicina ai bisogni delle persone.

Il PCI ha un grande successo elettorale e si forma una giunta socialcomunista, sindaco Mario Rigo, socialista, vicesindaco Gianni Pellicani, comunista. Lia diventa Assessora alla Sicurezza Sociale accorpando due deleghe, Assistenza e Sanità, in passato tenute separate.

Le difficoltà della nuova Giunta sono molte, la più grave è la situazione finanziaria del Comune che il vicesindaco e assessore al Bilancio Pellicani riesce, con il riassetto del bilancio e l’accensione di mutui, a pagare il gran numero di creditori e a rilanciare l’azione di governo.

Il piano programma della nuova giunta prevede la collaborazione tra gli Assessorati di comparto, Lia lavora a stretto contatto con l’Assessore alla Pubblica Istruzione Nereo Laroni e l’Assessora ai problemi della condizione femminile Anna Palma Gasparrini, il primo assessorato di questo genere in Italia.

Continua il servizio di assistenza domiciliare, precedentemente approntato dall’Assessore Carlo Vian della Democrazia Cristiana, nel quartiere sperimentale di Castello, e lo estende a tutto il territorio del Comune cedendo al Decentramento le deleghe che riguardano il “minimo vitale” e il domiciliare.

Imposta tutti i nuovi servizi alla persone, come gli asili nido e i consultori familiari sempre sulla base territoriale del quartiere, e istituisce dei comitati di gestione misti, personale e utenti.

Nel 1979 si trova ad affrontare la riforma sanitaria nazionale, la creazione delle nuove Unità Locali Socio Sanitarie, che comporta la ridistribuzione delle competenze precedentemente attribuite a Comuni e Province, l’accorpamento degli ospedali cittadini, la soppressione degli “enti inutili”, la creazione di un nuovo organico e la riqualificazione del personale. Lia è la prima presidentessa della istituenda ULSS, esperienza che dura un anno.

Con la nuova tornata elettorale viene ricandidata ed è rieletta, fa il suo secondo mandato e porta a compimento le diverse iniziative impostate nel primo quinquennio.