Gianfranco Lucatello - Brani dall’Audiointervista

Marghera, 18 febbraio 2009, in ufficio della Lega delle Cooperative; l’intervista ha una durata di due ore.

 

La famiglia e gli anni della formazione nel sestiere di Castello

[Sono] iscritto al PCI dal ’58, veneziano di nascita e di famiglia veneziana di lunga data. I Lucatello all’epoca, nel Quattrocento, erano una famiglia benestante che poi nel tempo si è impoverita, hanno fatto i veneziani, prendevano 100 e mangiavano 150! Se lei va in giro per Venezia ci sono dei campi, delle calli di nome Lucatello ma io sono di famiglia umile, povera.

[…] Mio papà era un operaio edile e quando hanno costruito la Sade, all’epoca la società dell’elettricità qui a Marghera, lavorava nell’impresa appaltatrice, una volta finita è stato assunto come operaio manutentore di tutte le parti edili, e quindi ha continuato a fare questo lavoro. Era un impiego modesto ma dava una certa sicurezza economica; mia madre non lavorava, aveva lavorato fino a poco prima della Liberazione alla Certosa in quanto era una staffetta partigiana, dove c’era un deposito di munizioni e c’erano i tedeschi, i fascisti. Era cattolica e iscritta al PCI clandestino. Andava sempre a messa! Provengo da una famiglia strana: il padre comunista, molto laico, mia madre che aveva questa componente cattolica, poi è morta anche giovane. Mia madre non mi ha mai mandato [a messa], mi ha sempre detto “… tu lascia perdere!” […] Ho avuto il battesimo e basta! Mi sono fermato là. E con questo sono cresciuto al di fuori della chiesa. Lei invece andava alle sei in chiesa, andava al fioretto alla sera a maggio; era molto devota, seppure di sinistra ed è sempre stata iscritta al partito comunista. Il nonno materno era un vecchio socialista mentre la famiglia di mio papà era una famiglia che […] politicamente non aveva nessuna simpatia. Una famiglia normale, […] che pensava a come sbarcare il lunario. Mio nonno faceva il ciabattino, aveva il negozio in Calle delle Ancore; me lo ricordo ancora che riparava le scarpe davanti a un tavolino pieno di chiodi e chiodini, un’immagine lontana.

Mio papà era diventato comunista da giovane, aveva un fratello più vecchio di lui che l’ha influenzato; […] il fratello era un vero antifascista, che alla fine ha dovuto scappare in Francia sennò i fascisti gli facevano fare una brutta fine. E’ stato in Spagna …, mio zio poi ha sempre vissuto in Francia; è morto sette, otto anni fa. […] Lui era proprio un personaggio, conosceva Longo, Saragat…, la guerra di Spagna l’ha portato a conoscenze, a vicinanza con capi del partito comunista italiano molto importanti. E’ stato lui, credo, che ha influenzato il fratello più piccolo. La moglie di questo mio zio è morta a Parigi, sotto un bombardamento alleato, che se ricordo bene era di una famiglia di gondolieri e abitava alla Salute. Mio zio è rimasto con questa figlia unica, mia cugina, che ha qualche anno più di me, 72, 73 anni. L’ho sentita l’altro giorno, ci sentiamo spesso, “Ciao vecio!” parla ancora in veneziano nonostante sia nata e cresciuta in Francia, non parla l’italiano e non lo capisce poi tanto.

[…] La passione politica in famiglia l’ho avuta solo io, si è fermato tutto là, […] i miei figli sono anche loro democratici di sinistra, però la cosa è diversa! Sia i miei figli che gli altri oggi hanno un modo completamente diverso di interpretare la politica! Idealmente coi miei figli ci siamo ma dal modo di agire mio e il loro alla stessa età …, siamo lontani! Ero combattente, ero in strada …, i miei figli discutono, parlano ma è diversa la situazione.

[…] [Ho frequentato la sezione] di Castello, Riva Sette Martiri, a Venezia. Alla fine di via Garibaldi si gira verso il Paludo e c’è Calle delle Ancore e Calle dei Nicoli. In Calle delle Ancore c’era mio nonno che faceva il ciabattino e la sezione di allora del partito comunista italiano. [Era una zona] popolarissima, lo è tuttora! All’epoca c’erano tanti contrabbandieri di sigarette, eravamo poveri! […] Il PCI era molto forte, aveva diversi iscritti, era una delle zone molto “rosse”, anche adesso lo è ma all’epoca era una zona molto combattiva, molto partecipe.

[…] In sezione da noi si ballava la domenica pomeriggio, tutti ‘sti giovani e tanti si sono avvicinati alla politica attraverso queste cose, ballare il pomeriggio… C’erano pochi posti di ritrovo: o le parrocchie, i patronati, in via Garibaldi c’era il patronato in Calle San Domenico, o la sezione. Mi ricordo che in questo patronato c’era un grande campo dove si poteva giocare a calcio; era l’unica struttura in cui si poteva fare qualcosa. Poi c’era una giostra, quella che i veneziani chiamano “ła giostra a peae”. Ci sono andato anch’io qualche volta; poi a una certa ora chiudevano i portoni, e non si poteva più uscire se prima non si andava a messa! Allora mi sono fortemente ribellato e non ho più frequentato il campo dei giochi dei francescani. [In sezione non si facevano pranzi ma] ricordo ancora il gusto delle pastine e del Vermuth, ed era il massimo!

[…] La sezione era molto, molto popolare e anche chi la dirigeva …, era gente volonterosa, che teneva in piedi l’organizzazione ma non c’erano dibattiti. […] Si mangiava assieme i “bovoeti”, “e sardèe in saor”. Poi c’è stato uno sviluppo diverso: quasi ogni sezione faceva la sua festa dell’Unità e sono cominciati i dibattiti culturali, le iniziative - ma siamo in un’epoca un po’ più avanti.

[…] [Quando ero ragazzo] c’erano i cantieri navali, c’erano gli arsenalotti. Mi ricordo che a volte a mezzogiorno portavo il pranzo a mio zio che lavorava in Arsenale, perché forse non c’era la mensa o mio zio preferiva il cibo di casa. Più di qualche volta gli portavo la pentolina e mio zio veniva vicino a questi grandi portoni in tuta da lavoro. All’epoca c’erano tre, quattromila operai! Poi c’era il cantiere dell’ACNIL, dove c’era un nucleo forte di operai di tradizione comunista e tanti ex partigiani. Un altro mio zio, che era partigiano, veniva a casa con il mitra, con le bombe a mano. Ho come delle fotografie in testa perché sono del ’40 e mi ricordo, anche se può sembrar strano e qualcuno non mi crede, di un plotone di tedeschi che camminava in via Garibaldi! Poi mi ricordo mia madre che con un bollino mi mandava a prendere il latte e delle volte arrivava il mio turno ed era finito!

[…] Ho saltato la FGCI, e sono andato nel partito comunista italiano direttamente […] e poi ho fatto il militare. Quando vado a Castello sia i più vecchi che quelli della mia età mi riconoscono e si ricordano ancora. Non mi chiamano neanche con il nome mio, perché avevamo un soprannome. Se lei chiede di me in via Garibaldi, di Gianfranco, dicono “Chi è?” Se lei chiede “Tone, te lo ricordi?” “Eh, Tone Franco!” Quando vado là mi chiamano ancora così!

[…] Tutte le domenica mattina a vendere l’Unità, ho fatto la militanza di base per tanti anni. La domenica mattina prendevo questo pacco di Unità e andavo a bussare alle porte, […] sapevamo per filo e per segno dove andare, eravamo un partito molto attento e conoscevamo le famiglie. Si andava da chi era iscritto o simpatizzante perché l’Unità non la compravano solo gli iscritti, la comprava anche una parte di simpatizzanti o di gente più aperta nei nostri confronti. […] Si bussava alla porta e qualcuno anche ti cacciava via: “Non ti presentare mai più!” Succedeva anche questo. […] Questa cosa l’ho fatta fino agli anni …, non voglio esagerare ma credo fino al ’75, ’80. Non più a Venezia ma ho continuato a Marghera. […] Quei contatti, seppur brevi, in qualche modo legavano, tenevano insieme. Tenga presente che in tutta Italia si vendeva un milione e trecentomila copie dell’Unità, quindi stiamo parlando di grandi numeri! Io da solo vendevo sessanta, settanta copie![…] Poi tornavo in sezione, portavo i soldi e il resto delle copie, e questa era la mia domenica mattina.

[…] Vado via dal centro storico per i motivi più o meno soliti: famiglie veneziane povere e sfratti all’ordine del giorno. Arrivato la sfratto te ne andavi. Con la famiglia mi sono trasferito a Mestre, in una laterale di via Torino, via Napoli. All’epoca era molto semplice essere sfrattati, alla mattina i mobili andavano in strada, il papà andava dove c’era la barca a noleggio. A piazzale Roma c’erano i camion che ti aspettavano e la sera eri a Mestre in una casa nuova. La cosa era molto organizzata, ci si trovava dalla mattina alla sera, nel giro di dieci, dodici ore, in terraferma. Mio padre ci ha fatto una malattia! […] Quando sono arrivato […] non c’era nulla, un palazzo che era l’unico […] e il resto erano tutti campi de “panoce”!

[…] E’ stato un cambio violento! Anche se stai nella stessa città! Un conto è cambiare casa per volontà, un altro conto è per sfratto, che comunque è una violenza!

[…] Mi sono iscritto nella sezione in piazzale Madonna Pellegrina; prima mi sono iscritto dove lavoravo, agli Azotati1, alla cellula di fabbrica che poi è diventata sezione e sono diventato segretario quando questa si è messa insieme alle sezioni di altre fabbriche e abbiamo fondato la “sezione Montedison2” che raggruppava tutte le varie fabbriche: Montedison, Azotati, la Vetrocoke ecc. […] Ero segretario del partito comunista ed anche sindacalista, ero membro del Consiglio di fabbrica. Prendevo 800 voti come CGIL in una fabbrica di circa 1500 persone. Prima del ’68 prendevo sì 800 voti, ma quando si dichiarava sciopero eravamo in quindici fuori della porta! Ero dei pochi giovani tra questi quindici che faceva sciopero, ci chiamavano quelli “deła gasia”.

 

Indice dei nomi

Luigi Longo

Giuseppe Saragat

 

1 La Vetrocoke a Porto Marghera aveva due stabilimenti, uno per la produzione del vetro, coke e plexiglas e un altro per la produzione di fertilizzanti azotati. La sezione vetri e coke era in via delle Industrie, l’altra era in via Banchina dell’Azoto del Canale Industriale Ovest. Cfr. O. Favaro, Un cardellino in gabbia, Quaderni di storiAmestre, estate 2008, p. 86.

2 La Montedison nacque nel 1966 dalla fusione della Montecatini con la Edison, dando vita alla più grande industria chimica italiana. Cfr. O. Favaro, Un cardellino… cit, pp. 77-78.