Esistono in città strutture per mettere in rete i talenti?

Esistono in città reti/strutture adeguate per aiutare a nascere ed accrescere la qualità necessaria nelle relazioni tra soggetti interessati a progetti comuni? Se sì quali i punti di forze e debolezza di tali realtà?

Paolo Lucchetta (architetto): Sono un grande sostenitore della città intesa come l'insieme del suo capitale sociale ed in questo senso ho trovato di grande interesse la ricerca dedicata a Mestre su questo tema dalla Fondazione Pellicani.
Capitale sociale come "risultato di ogni azione disinteressata, di ogni manifestazione di rispetto di forme informali, di fiducia negli altri e nelle istituzioni ovvero di tutte quelle forme di obbligazione liberamente vissuta che presuppongono gli altri come valori e non come strumenti utili".
Di questo capitale di attori sociali Mestre e' una città' ricca e l'unica debolezza che intravedo sta nella difficile confluenza di questa energia nelle istituzioni, non necessariamente per responsabilità di queste ultime, ma anche per incapacità di sintesi e di progettualità condivise.
Rimane comunque la sensazione di una certa distanza delle reti/strutture esistenti pubbliche dal patrimonio sociale a cui dovrebbe riferirsi.

Valeria Tatano (architetto): Di certo esistono piccole realtà che hanno sostenuto il dialogo e l’attività verso progetti comuni, riuscendo a convogliare energie positive e impegno nella direzione di obiettivi condivisi. Realtà religiose o laiche ancora capaci di sollecitare una volontà di dialogo e di ascolto.
Anche l’università svolge questo ruolo ma potrebbe farlo in modo molto più attivo e coinvolgendo figure diverse. Ca’ Foscari e l’Università IUAV di Venezia sono una ricchezza non abbastanza utilizzata da Mestre che non sfrutta le “teste” che vi lavorano come interlocutori critici. Invece la presenza di due università così autorevoli, già dotate di una rete di relazioni nazionali e internazionali, potrebbe utilmente essere messa al servizio della città. Non per dare o ottenere incarichi professionali, ma per ragionare insieme, sollevare questioni, condurre analisi e prospettare soluzioni.

Pierluigi Aluisio (informatico): Fatico a identificare in città questo tipo di reti o, se esistono, di certo sono poco d’aiuto per la crescita. La mia esperienza personale testimonia che le reti vanno create. Sempre a partire dal patrimonio esistente, ma con capacità di rinnovamento, con creatività e spirito di iniziativa. Un progetto comune al quale ho partecipato è stato ad esempio quello della costruzione della Onlus laica Infiniti Ponti per seguire sul piano operativo alcuni progetti di sviluppo nel terzo mondo legati alla Diocesi di Venezia. All’interno del mondo del volontariato cattolico ho trovato più facile costruire queste reti, ma ho riscontrato pur sempre la necessità che ciascuno si spenda in prima linea perché le strutture di per sé non sono sufficienti a sostenere i costruttori di progetti. Sono piuttosto i costruttori a dover spesso sostenere le strutture...

Andrea Stocchetti (economista): Naturalmente sì, nel senso che qualunque istituzione è per definizione il nodo di una rete potenziale che può svolgere anche la funzione di connettore. Sui punti di forza e di debolezza non saprei pronunciarmi, conosco solo quelli dell’Università.

Michele Boldrin (economista): Non sono certo di conoscere la realtà della Mestre del 2010 a sufficienza, ma ci proverò. La prima osservazione e’ che a Mestre non c’è l’università che continua, anacronisticamente, a rimanere nel Centro Storico. Suppongo perché alle autorità accademiche questo sembra più consono al loro stile di vita ed ai loro interessi, certo non perché convenga agli studenti che arrivano nella stragrande maggioranza dalla terraferma ed ancor meno, come vedremo, perché questo convenga alla città. L’università di Venezia continua ad essere avulsa dalla realtà socio-economica di Mestre e dell’hinterland della Terraferma tanto quanto lo era 30 anni fa. Senza una macchina produttrice di capitale umano che interagisca con la realtà circostante, non si fa innovazione. Mi sembra anche che la scelta di utilizzare aree dismesse del vecchio polo industriale di Porto Marghera per collocarvi attività di servizi, seppur apparentemente funzionale dal punto di vista logistico e dei trasporti, non sia stata la decisione più foriera di interazioni positive: la creatività si fa nelle città, creando reti anche fisiche attraverso cui le persone creative e di talento possano interagire. Il fatto, poi, che la maggior parte di quel poco d’industria manifatturiera “indigena” che esiste sia collocata a Marcon e dintorni accentua questa separazione e segmentazione. Il centro di Mestre e’, oggi come trent’anni fa, il luogo del piccolo commercio, delle professioni tradizionali e poco innovative, degli uffici e servizi pubblici, non certo il luogo dei servizi avanzati, della creatività, della produzione di capitale umano. Si parva licet: esattamente l’opposto del Greenwich Village o di Palo Alto...

Riccardo Dalla Torre (ricercatore economista): Ad esser sincero non sono in grado di valutare complessivamente questo aspetto. Credo, tuttavia, che non manchino i momenti e le occasioni durante le quali poter sviluppare virtuose reti di relazioni. Forse quello che manca è una vera e propria struttura di riferimento, riconosciuta come autorevole, che si identifichi anche come luogo fisico e permetta di “fare sintesi” rispetto a tutte le diverse realtà ed iniziative presenti.

Massimo Russo (giornalista): Manco ormai da 14 anni e rischio di dare una risposta non più aggiornata su questo tema. I punti di forza, per la mia esperienza, sono senz’altro la presenza dell’università, di una scolarizzazione di base discreta, di un patrimonio di professionalità elevato come eredità dell’epoca industriale, oltre naturalmente a l’essere parte di una realtà cosmopolita e (un tempo) culturalmente raffinata come Venezia. Le carenze più importanti sono nella capacità di creare una rete che connetta questi fattori potenziali di sviluppo, nell’accesso al credito, nel basso tasso di imprenditorialità.

Massimo Donà (musicista): Una di queste è sicuramente quella cui ha dato vita da qualche anno la Fondazione Pellicani; ma vi sono molte associazioni culturali o lavorative che contribuiscono a disegnare reti di relazione tra soggetti interessati a progetti comuni.
Elementi di forza di tali forme aggregative sono sicuramente la passione da cui prendono vita e che le sostiene, l’esigenza reale che le muove, e il clima sempre inventivo che può sicuramente aiutarle a tenersi in vita… se non altro in virtù del loro essere sorte indipendentemente da ogni statuto già scritto, da ogni stanco accademismo e dunque solo da una libera circolazione delle idee al loro interno….
Mentre elementi di debolezza possono essere il sostanziale (e abbandonato a sé) volontarismo che sostiene le loro attività, la mancanza di struttura organizzativa forte, che può sempre finire per uccidere l’inventività e la creatività, ma è nello stesso tempo necessaria per dare ampio respiro alle iniziative medesime.

Emanuele Pettener (scrittore): A Mestre esistono da tempo sia strutture che reti per realizzare progetti comuni in molti settori. Manca una visione comune, manca il coordinamento fra le forze - quasi a fare in modo che poi il progetto stesso non si realizzi.
Questo ad esempio è successo con l'esperienza di Mestre 900 ed il suo laboratorio deprivato di ogni risorsa, delle varie associazioni che si interessano della storia della città e che si era tentato un tempo di coordinare con l'obiettivo di dar forza alla prospettiva di un museo della città.

Roberto Compagno (imprenditore): Spesso ci s’interroga sulla capacità di un ambiente, un territorio, un’azienda, di coltivare e far maturare eccellenze.
In un’azienda la capacità di valorizzare al meglio le proprie risorse umane può determinare un valore e un patrimonio che le può fornire un vantaggio competitivo importante e difficilmente imitabile.
Uscendo dall’azienda il concetto può essere esteso a qualsiasi organizzazione sociale.
Alla classe dirigente di un territorio (dal singolo comune allo stato nazionale) è affidato il compito di migliorare la condizione di vita dei propri cittadini. Lo sviluppo economico e sociale di un’area passa inevitabilmente attraverso la crescita professionale, culturale e morale dei propri membri.
In questo lavoro grande protagonista è il sistema d’istruzione scolastica. Un buon sistema d’istruzione include in una prima fase le famiglie, e quando età e conoscenze lo consentono, coinvolge e si relaziona virtuosamente con il mondo dei mestieri, delle professioni, dell’impresa, della ricerca, del sociale, del volontariato.
I talenti di ieri e di oggi, non considerando i fenomeni straordinari, si coltivano ascoltando e confrontando; dando infine opportunità di maturare esperienze.
Dal punto di vista dell’azienda, il mio osservatorio, si percepisce un profondo distacco dal mondo della scuola. Inesistenti le attività di promozione della scuola presso le aziende, e qualche sporadico stage non basta ad avvicinare, soprattutto se interpretato come parte di una routine burocratica dagli stessi attori.

Valeria Benvenuti (ricercatrice): Nel nostro territorio molte sono le iniziative a sostegno dell’occupazione, della formazione, dell’orientamento, della creazione di impresa… Sono tutte iniziative meritevoli (guai a non disporne). Ma quello che manca è la fiducia verso le capacità dei giovani. Non è possibile che per aprire un’attività imprenditoriale ci si debba scontrare contro un muro di burocrazia, contro un credito che non c’è, contro l’indifferenza. Non è possibile che un giovane debba rimanere sospeso nella precarietà per anni perché costa troppo al proprio datore di lavoro. Il giovane non è manodopera usa e getta. Il giovane ha bisogno di esprimersi, di sapere che il proprio talento è apprezzato e ben valorizzato. E perché no, anche ben retribuito. Senza un livello salariale adeguato è difficile realizzarsi, sia come persona, che come famiglia.

Michele Brunello (architetto): La prima rete e infrastruttura necessaria per lo sviluppo di progetti innovativi e comuni è la struttura morfologica della città. Abbiamo a Venezia un capitale “relazionale” enorme determinato dalla forma urbis, che favorisce incontri informali e non lineari tra diversi soggetti e diverse competenze. Senza essere troppo ideologici, è importante difendere e investire sul carattere pubblico di molti spazi fisici veneziani e reinterpretarlo come modello di unione nello sviluppo di Mestre e il rilancio di Marghera. Penso all’infrastruttura necessariamente diffusa in tutta la città delle Università, delle grandi istituzioni culturali o degli eventi, ma anche alla rete di artigiani o di giovani imprenditori del terziario avanzato, così come all’infrastruttura ambientale della laguna o al patrimonio industriale di Marghera.
Nel titanico scontro tra flussi e luoghi che si infervorato negli anni della globalizzazione, solamente le strutture “fisiche” non replicabili non sono state scalfite dalla concorrenza del mondo allargato: bisogna investire nel potenziamento di queste caratteristiche uniche.
I luoghi vincono sui flussi solamente se si sanno interpretare e diventano fattori identitari.
L’altro elemento necessario, che in Italia e a Venezia è stato trascurato mentre oggi potrebbe fare la differenza, è l’infrastruttura immateriale e informatica.
Le conseguenze dell’aver preso sottogamba gli investimenti in questi settori, la mancanza di una visione chiara per far diventare Venezia e Mestre le piattaforme attrattive per un’economia non solamente turistica, culturale o logistica, ma legata alla produzione immateriale, hanno avuto come conseguenza il mancato legame tra la dinamica economia del nord est e le realtà veneziana, di Marghera e in parte di Mestre.
Oggi si sta in parte recuperando terreno, ma bisogna tener presente che Venezia nella storia era sempre stata luogo di sperimentazione delle innovazioni, dalla prima fabbrica che usava la produzione in serie, l’Arsenale, alla prima rete d’illuminazione pubblica a gas ai sistemi costruttivi delle case. Oggi è paradossale che Venezia venga considerata come luogo della conservazione.
La rete sulla quale bisogna investire oggi, senza ombra di dubbio, è quella ambientale. Se Mestre e Venezia si sapranno riunire sfruttando la matrice ambientale e facendola diventare tratto distintivo della loro unione, entrambe usciranno da questo periodo storico vincenti e più forti. Non si tratta solo di ambiente in senso estetico ma investire su ambiente oggi vuol dire creare posti di lavoro, opportunità e benessere e qualità di vita. E questo genera attrattività.